Divina
Giulia
Roy Leutri, da sempre, sceglie, come protagoniste della sua
superba maestria fotografica, superbe bellezze femminili: si impone fra
tutte il ricordo della giovane e bellissima Charo, immersa in un campo
di girasoli dalle corolle quasi appassite.
Vi è da parte di Roy una ricerca accurata del contesto che non
può essere casuale: ha la funzione di esaltare la bellezza femminile
che posa, ma anche e, forse di più, di aprire spiragli sul vissuto
dell’Artista, alla ricerca di sè e della sua storia familiare: in
quest’ultimo caso lo sfondo è offerto da una Venezia misteriosa e
lontana dai percorsi turistici, ma prodiga dei languori provocati da
sconosciute e fatiscenti muraglie, pigri e remoti canali veneziani.
Roy e i suoi scatti sembrano, infatti, ricercare la magia dei
luoghi sconosciuti o disabitati, quasi ai confini dello spazio e del
tempo, luoghi sui quali balza prepotente il gesto garbato di una bella
donna: è forse una fata che illumina le valli arcaiche del Friuli
occidentale e i naturali grafismi di case e stavoli abbandonati? Sempre
un misterioso archetipo di bellezza femminile dà vita alla velata
malinconia dei ruderi abbandonati di un borgo rurale che s’illumina
d’inattesi gesti quotidiani.
Le creature sfocate ed evanescenti, che hanno segnato la più
recente ricerca fotografica di Roy Leutri lasciano il posto, in
quest’ultima fatica dell’Artista, ad una bellezza sfolgorante ed
esotica: la bellissima e divina Giulia, concreta creatura dalla
misteriosa ed irraggiungibile bellezza orientale.
Nella sequenza fotografica proposta dall’Artista regista, si
accampa, come prima e tematica inquadratura, il volto bello e misterioso
di Giulia, la protagonista di questa nuova stagione di ricerca di Roy
Leutri, che punta l’obbiettivo della sua macchina sul rilievo della
bocca appena dischiusa e promettente: i tratti di una vera bellezza
cinese, tratti evidenziati da un trucco sapiente che mette in risalto
anche il taglio caratteristico degli occhi dalle folte ciglia oblique,
illuminato da due candide perle: aggraziato un candido drappeggio di
velo, cinge il collo della divina creatura mirabilmente ritratta.
Giulia posa disinvolta, altrove, balzando con la serica massa di
capelli neri da una nuvola di cespugli che la avvolge di bianco, per
esibirsi con la grazia di una bambina all’angolo estremo di
un fondale, dove la perentorietà di linee parallele in primo
piano e di strutture architettoniche sullo sfondo è addolcita da quella
natura caotica e disordinata che Roy Leutri ama introdurre nei suoi
scatti, per sottolineare la pulizia formale su cui, per contro, si
incentra il fuoco dell’obbiettivo.
Non la Venezia tradizionale, di canali, fondamenta e scorci di
palazzi, che altrove aveva fornito ispirazioni a Roy, ma un ambiente
lagunare deserto e spopolato, quello delle sacche, ovvero degli slarghi
dei canali, delle valli da pesca, delle dune, e delle mèsole (le
strisce in lieve rilievo dove la corrente trasporta e
accumula la sabbia) fa da sfondo al poetico servizio fotografico
di Roy Leutri: una Venezia sconosciuta ai turisti e, probabilmente, agli
stessi veneziani.
Il contesto si mostra perfetto, così selvaggio e solitario per
dare risalto non solo al volto esotico di Giulia, ma alla sua composta
gestualità: dita incrociate in felice contrasto con la rigidità dei
fissi elementi di contorno, come i pali che si riflettono nelle acque
torbide del canale, braccia aperte e viso sognante terre lontane, mentre
la brezza che viene dal mare muove appena il serico velo che le cinge il
collo lungo e e sottile.
Altri scatti concentrano l’attenzione sul contrasto dei lunghi
nerissimi capelli della modella biancovestita: bambina innocente e nel
contempo donna conscia della seduzione che può produrre il suo corpo
flesso, sotto l’obiettivo, in pose languide e sensuali.
L’estrema naturalezza nel gioco di spigoli ottenuto dalla
disposizione di un gomito o di un ginocchio, non possono che trovare un
equilibrato contrasto nei pochi elementi di contorno esotici,
naturalmente, come il vezzoso ombrellino, il ventaglio, graziosamente
esibito, mentre il fuoco dell’obiettivo sta puntato sul cappellino
cinese appeso ad una porta, sulla quale gravita la mossa aggraziata del
ginocchio, pure appuntito, di Giulia.
Come si addice ai luoghi appartati e scarsamente abitati del
mondo misterioso delle barene, il volto di Giulia si dispone ad
enigmatici sorrisi, mentre le mani accarezzano i rari elementi di
un’architettura dalle linee sobrie ed essenziali, tondeggianti: un
grosso otre su cui si allunga la bella mano della fanciulla
inginocchiata e seminascosta dal suo prezioso ventaglio; la grande cappa
di un camino rotondo, sfiorata da una Giulia assorta e misteriosa. Un
palo, uno dei classici pali che segnano i percorsi nella laguna fornisce
un appoggio a Giulia, la valigia ai piedi, nell’atto di lanciare uno
sguardo ai luoghi da cui partì la famiglia dei Polo alla conquista
dell’Oriente misterioso.
Piera
Rizzolatti
Università di Udine.