Ogni
anno, puntuale, sullo scorcio dell’estate, Roy Leutri viene a farmi
visita, - sotto la grande, accogliente “cappa” del mio antico camino
- con una cartellina che contiene gli scatti fotografici destinati ad
impreziosire il calendario dell’anno a venire: belle ragazze verrebbe
da dire, scorrendo il materiale sottoposto al mio giudizio: bellezze
esotiche a volte, ma composte, da una filosofia improntata al rigore di
una professionalità e di una tecnica che non involgarisce mai il
soggetto. Roy non sottrae nulla alla bellezza di un bel corpo femminile,
ma lo sfida, piuttosto su di uno sfondo dimesso come le pietre di un
vecchio casale della Valcellina o i muri scrostati di una Venezia non
turistica; una sfida che non esclude la sensualità di competere con la
sfolgorante bellezza di un campo di girasoli, dove la fugacità del
tempo, che appassisce le corolle viventi di sole, allude al trascorrere
veloce delle vita, anche di quella modella, che sembra nutrita di vento
e di luce.
Ho
atteso invano l’autunno scorso la visita di Roy, temendo che la sua
creatività fosse stata intaccata dalla perdita, assai dolorosa, della
sua amata mamma alla quale era legato da un rapporto simbiotico, che ben
conoscevo, per essere, a mia volta, da poco stata toccata dallo stesso
evento luttuoso.
Ecco,
invece, che, a sorpresa, completamente fuori tempo per pensare ad un
calendario, Roy si presenta con un mazzo di fotografie, di inattesa
forza e di struggente bellezza, scattate a pochi passi da casa, in un
complesso agricolo abbandonato, Marzinis, in comune di Fiume Veneto,
che, quando il borgo, di proprietà dei Conti Panciera di Zoppola,
ferveva di attività, aveva toccato già le corde del Pasolini di
“Dov’è la mia patria”.
Anche
per Roy, quel paese non suo, ma intensamente amato, che versa in un
pietoso stato di abbandono, assurge a metafora di uno stato di vita e
viene vivificato nelle foto, scattate con la consueta, magistrale
tecnica, dalla presenza di una donna misteriosa, che si disseta al magro
cannello di una fontana, che compare e scompare tra le case pericolanti
e le finestre ormai rese fatiscenti dall’impietoso lavorio dei tarli.
Un fantasma? Una visione? Il volto di un’ava che vuol essere
richiamata alla vita? Una madre, che ha perso il figlio o che lo cerca
sorridendo mentre quello gioca a nascondersi? Tutto questo, o, forse
nulla di questo. Però...
Bisogna conoscere a fondo Roy perchè si lasci andare a confidenze: la
sua innata discrezione e una timidezza di fondo non lasciano mai spazio
ad abbandoni biografici, percepiti sempre come fonte di sofferenza
irrisolvibile, di imprevedibili affacci su di una vita sua, ma non del
tutto, che si concatena a quella degli avi e lì si spezza quando
vengono a mancare i contatti. Qui sta il nocciolo della sofferenza e
forse il motivo profondo della fotografia di Roy, caratterizzata dalla
preferenza per donne circondate dall’aura del mistero: donne che
appaiono o scompaiono lasciando una traccia labile di sè, anche se
protendono il corpo e il volto per avere la conferma di essere esistite
e a che le loro fattezze, dopo aver impressionato la lastra o il
rullino, si possano tramandare ai posteri.
Sempre
di più assisto a questa quasi spasmodica ricerca di Roy di sè e del
suo passsato, quasi impossibile da recuperare oggi, dopo che si è
spenta la voce della madre, che aveva conservato con pudica
riservatezza, il segreto di famiglia.
- Che
Strano cognome “Leutri” -, mi ero detta quando, saranno ormai
ventanni, mi venne presentato un giovane, promettente fotografo, che
doveva seguire le mie ricerche sul territorio. Solo 20 anni dopo Roy mi
ha confessato l’ossessione per un cognome così raro, il desiderio
incalzante di conoscerne le origini e, infine, la storia di un infante,
vestito di panni non dozzinali, abbandonato -saranno due secoli - sulla
ruota di un convento veneziano. Sarà il volto di quell’ava con cui
condivide parte del corredo cromosomico a guidarlo nella ricerca di
volti femminili, di luoghi incantati e quasi sospesi tra realtà e
fantasia?
Piera
Rizzolatti
Università di Udine
|